Nella giornata di ieri si è celebrato metaforicamente il nono compleanno della gestione Lotito-Mezzaroma. Un periodo tremendamente intenso, ricco di sensazioni contrastanti e di momenti che sembrano lontanissimi, ma che risalgono a pochi anni fa. Lo sputo della Sud col Borgo a Buggiano, la festa di compleanno davanti a 23mila spettatori in delirio, il canto di Moro in un Arechi commovente, le meteore di mercato arrivate a luglio e svincolate ad agosto, i campionati vinti nelle categorie inferiori e l'anonimato in cadetteria, con tanto di doppio spareggio playout che ha messo a repentaglio le coronarie del pubblico. E ancora. L'arrivo in aereo a Guidonia, lo sfogo di Somma che stava spingendo uno dei proprietari a farsi da parte "perchè il calcio urlato va contro i miei principi", la diserzione che quasi stava costando la retrocessione, iniziative di marketing tardive ma interessanti, il mancato invito per le celebrazioni del centenario, il caso Donnarumma, i tanti infortuni, i torti arbitrali, il rapporto altalenante con l'amministrazione comunale. E i tormentoni. Quello dei 10mila spettatori, del galleggiamento, della multiproprietà, della succursale. La divisione tra "gufi" e "collusi", un ambiente quanto mai spaccato ma che non può non essere d'accordo su un aspetto: sul piano economico è la società più solida di sempre. Perchè pagare gli stipendi è atto dovuto e non un merito, ma nemmeno si può dare per scontato ritrovarsi con un bilancio attivo ogni anno in una città che garantisce a tutti i livelli introiti vicini allo zero da qualche tempo a questa parte.
Così come non era scontato passare dal nulla, dalle sceneggiate italo-americane e dagli alberghi sottomarini che hanno fatto vergognare Salerno nel mondo ad una scalata inizialmente strepitosa. Chi pensa che vincere in D, con un gruppo giovanissimo formatosi in 12 giorni, è totalmente fuori dal mondo. Investimenti, organizzazione, calciatori forti e immediato salto di categoria con conseguente modifica della regola sulla multiproprietà: basterebbe questo per capire quanto sia folle pensare che le NOIF incidano. Poi uno squadrone in C2, categoria che non fu volutamente abolita proprio per fare un torto alla Salernitana. E pensare che in quei famosi consigli federali c'erano persone teoricamente innamorate dei granata. Un biennio in C1: d'assestamento il primo (pur con qualificazione playoff e investimenti milionari), di trionfo il secondo, in un Arechi tornato a pulsare come non accadeva da anni e una rosa talmente forte da sopperire al caso Somma e alle lacune della gestione Menichini. Nel mezzo i primi e unici trofei della storia granata, ovviamente sminuiti da chi vive di frustrazioni: il vero tifoso si emozionò quando il capitano alzò al cielo per due volte la coppa, nel ricordo di Di Bartolomei e con una maglia celebrativa che ancora oggi è tra le più gettonate.
Poi il passo del gambero in serie B, laddove comunque di giocatori bravi ne sono passati tanti. Sciaudone, Coda, Donnarumma, Sprocati, Di Gennaro, Akpro, Bernardini. Laziali come Strakosha, Luiz Felipe e Djavan Anderson che oggi giocano stabilmente in A con la maglia biancoceleste. Gente come Alessandro Rosina o Alessio Cerci con trascorsi da capogiro: merito alla proprietà per aver messo mano al portafoglio, demerito a loro per non aver ripagato la fiducia. E se ci avessero detto, dieci anni fa, che in panchina ci sarebbe stato l'ex CT della Nazionale avremmo firmato col sangue, recentemente abituati ai bravi padri di famiglia, ai gestori senza idee e a qualche generale più bravo che fortunato. Certo, un tandem del genere dovrà prima o poi spiegare come sia possibile che realtà piccole e modeste arrivino in B e vincano subito mentre qui si vivacchia rischiando addirittura per due volte di retrocedere. Fosse successo nell'anno del centenario, dopo quel girone di ritorno vergognoso, poteva essere una via di non ritorno. Invece hanno rilanciato allestendo una rosa che, al completo, avrebbe potuto ambire alla promozione diretta.
Il rapporto con la piazza è stato spesso al centro delle discussioni. Se ci si aspetta la ruffianata del giro sotto la curva o della frase ad effetto è tempo perso, allo stesso tempo tutti invocano una gestione più sentimentale e meno rigida e "calcolatrice". Ma i presidenti di una volta, rassegnatevi, non esistono più. Certo, aprire le porte degli allenamenti, incentivare le nuove generazioni e non rammentare sempre le disgrazie della storia secolare sarebbe gradito. "Ma non avrei investito in una piazza che non stimo" la replica immediata di Lotito. Guardando cosa accade intorno, comunque, una certezza c'è: guai a farseli scappare. Con tutti i loro difetti. Con una politica al risparmio al netto di un monte ingaggi imponente (a Roma il modus operandi è lo stesso, con incassi cento volte superiori). Senza giustificare dichiarazioni fuori luogo e censurabili, talvolta offensive. Ma tenendo conto che non ci sono alternative e che la crisi economica post Covid non sfiorerà nemmeno la Salernitana. Non esistono sceicchi, americani o Paperon De' Paperoni in giro: fantacalcio, per usare un eufemismo. L'imprenditoria salernitana, memore anche di qualche atteggiamento popolare fuori dalle righe, latita come sempre e la politica poco incentiva chi vuole spendere per i granata. Le storie di Aliberti e Lombardi, delle partite bloccate per raccogliere l'incasso da dare all'arbitro e delle penalizzazioni a campionato in corso sono recenti. Realtà blasonate quanto e più di Salerno combatteranno ancora tra serie C e dilettantismo. Non è un discorso di categoria, sia chiaro. Ma la vera dignità la Salerno sportiva non l'ha persa certo per colpa di Lotito e Mezzaroma. Nove anni, un 7 in pagella frutto di tre promozioni, due coppe, un cavalluccio sulle maglie, un bilancio in attivo, decine di plusvalenze, un settore giovanile in crescita da un paio d'anni, investimenti sulle strutture e una rappresentanza istituzionale. Con la macchia indelebile dei due playout e di un rapporto conflittuale con la piazza. Ma c'è tutto per chiudere il cerchio, il loro percorso non si chiuderà prima della promozione in A. A prescindere da ogni diserzione completamente inutile e, anzi, dannosa.
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